Di speranza, disperazione, amore, denaro e coronavirus.
Noi italiani siamo un popolo meraviglioso.
È straordinaria, per esempio, la nostra capacità di coltivare nel cuore la speranza.
Sopratutto quando un’analisi lucida e razionale ci fornirebbe tutti gli elementi necessari a renderci conto che quella nostra specifica speranza, a cui siamo così legati, è null’altro che illusione.
Un esempio nel quale spesso mi imbatto offrendo consulenze tarologiche è la domanda ricorrente: “Tornerà da me?” (con tutte le sue varianti, tipo: “Le cose tra di noi ricominceranno ad andar bene?”, oppure: “Cambierà per me il suo modo di essere?”).
Domande che spesso celano (anzi rivelano) una duplice illusione: quella che lui/lei possa tornare da noi, per esempio, ma sopratutto quella che la nostra felicità dipenda da ciò – ossia che saremmo davvero felici se lui/lei tornasse, o che non potremmo più esserlo senza di lui/lei.
Spesso le illusioni sono più comode della realtà; e questo aiuta la speranza ad essere l’ultima a morire…
Ora vorrei parlare delle situazioni in cui la speranza non solo viene alimentata da nostri bisogni di cui non siamo ben coscienti (o da bisogni illusori dai quali ci lasciamo ingannare), ma viene anche corroborata da una potentissima bestia mangia-cervelli di nome “mass-media”; e in quei casi diventa veramente complicato tornare lucidi – ammesso che lo si sia mai stati.
Un esempio abbastanza inoffensivo è la speranza di prendere il 6 al superenalotto.
Tralasciando la diffusissima e profondissima convinzione che diventare ricchi significhi diventare felici, mi voglio soffermare sull’aspetto meramente probabilistico della faccenda.
La matematica parla chiarissimo: abbiamo una possibilità su seicentoventidue milioni. In pratica si rasenta l’impossibile.
Ma il cuore non vuole sentire ragione – e a ragione: il suo mestiere è un altro! – e noi restiamo convinti di poterci arricchire con una piccola giocata d’azzardo.
In questo nostro miraggio, ogni titolo di giornale o voce alla radio che annuncia la vincita di un grosso premio diventa l’attestazione inconfutabile che sì, si può fare, può succedere anche a noi!
E i giornali sono riusciti nel loro intento.
Sarò sincero: in quest’articolo non volevo parlare delle (false?) speranze che i media aiutano ad alimentare, ma proprio dell’opposto – cioè di quanto facilmente, vastamente e profondamente i media alimentano la disperazione, la paura, la rabbia.
In verità avevo in mente di scrivere solo due righe sulla psicosi del coronavirus; ma ora mi rendo conto che il tema della disinformazione e della cattiva informazione richiede più di due righe, e io già ho esagerato col cappello…
Nel prossimo articolo scriverò quattro righe sui citati argomenti e sugli arcani che li rappresentano.
Intanto ti ringrazio per aver letto!